Alma

Per introdurre nel mercato brasiliano la Leica M Monochrom è stato presentato un cortometraggio, Alma (Anima), del regista Felipe Vellasco (Vellas) dove in poco più di un minuto si racconta, in modo veramente molto intenso, la vita del fotografo Robert Capa.

Il film è narrato in tedesco (sottotitolato in inglese) e in bianco e nero. Racconta la vita di Capa dal punto di vista di una delle sue macchine fotografiche, la Leica III. Cattura soprattutto per la dinamicità, le inquadrature ed il linguaggio documentaristico. 

Un piccolo capolavoro in bianco e nero che vale la pena di gustare.

Gianni Berengo Gardin

Sul Maestro, come viene comunemente chiamato Gianni Berengo Gardin, si è detto e scritto forse tutto e certamente non ho molto da aggiungere. Tuttavia poterlo incontrare e ascoltare le sue parole, sentirlo commentare alcune delle fotografie che lo hanno reso celebre è stato per me non soltanto una grande emozione ma un vero privilegio.

Gianni Berengo Gardin a Villata (VC) in occasione di una sua retrospettiva

Gianni Berengo Gardin a Villata (VC) in occasione di una sua retrospettiva

L'occasione me l'ha fornita una retrospettiva su di lui a Villata (VC) che si è tenuta oggi. E' un uomo semplice dagli occhi piccoli e con dei modi di fare molto informali. Consapevole del suo naturale talento tanto che una sua battuta a proposito di Capa mi è rimasta in mente: "Lui era un Dio io sono solo Santo", ha commentato con simpatia e anedotti molte delle sue più famose fotografie. Ha raccontato ad esempio che un giorno gli si presentò un uomo che lo salutava con modo amichevole come se lo conoscesse da tempo e lui fu costretto a domandare chi fosse, l'uomo si presentò come l'emigrante che oltre 20 anni prima aveva ritratto alla frontiera fra Italia e Svizzera.

L'occasione è stata interessante anche perchè si sono affrontati diversi temi dalla tutela del diritto alla privacy molto spesso solo un pretesto per estorcere del denaro ad un fotografo famoso, alla polemica sul digitale di cui non si dice in linea di principio nemico ma ritiene che possa non esserci quella durabilità che invece con la pellicola ha permesso di poter stampare ancora fotografie di 50 anni fa. Non si è mancato di affrontare la diatriba fra fotografia istantanea e fotografia posata nel reportage alla quale ha detto di avervi fatto ricorso solo in occasione di 3 fotografie durante la sua lunga carriera.

Due cose mi hanno colpito in particolare, la prima riguarda la sua lunga e ancora attiva carriera, ho avuto infatti modo di vedere e sentir commentate alcune fotografie non più vecchie dello scorso anno e questa cosa mi ha reso Berengo Gardin molto vicino, non so perché ma riesco a non vederlo più come un'icona da conferenze e convegni ma finalmente come un vero e reale Fotografo impegnato. Anche vedergli al Leica sulla spalla mi ha restituito l'immagine del fotografo sempre pronto anche in occasioni in cui potrebbe non dover fotografare.

La seconda cosa che mi ha colpito è stata la proiezione di una sorta di backstage nel quale si mostrava il lavoro di Gianni Berengo Gardin mentre fotografava nelle Terre delle Risaie e quì l'ho visto per la prima volta alle prese con Nikon e teleobiettivi, è stato curioso vederlo alle prese con macchine reflex diverse dalle sue amate Leica e in quel backstage ho quasi visto in lui, quant'anche sia un fotografo geniale, un modo di lavorare comune alla maggior parte dei fotografi. Un utilizzo finalizzato allo scopo delle attrezzature ed un sfruttamento a scopi fotografici di momenti e persone.

Devo dire alla fine che sono rimasto molto soddisfatto dall'aver potuto incontrare il Maestro e soprattutto veder avvalorata la mia idea di Fotografia come qualcosa di naturale e fluido che racconta storie di uomini ed emozioni senza la ricercatezza spasmodica di tecniche finalizzate a realizzare una fotografia esteticamente perfetta ma priva di contenuti.

Gianni Berengo Gardin mi firma il libro "Terre di Risaie" 

Gianni Berengo Gardin mi firma il libro "Terre di Risaie" 

Gli stadi del fotografo

In un forum ho letto un brano di Feininger riferita agli stadi del fotografo. Pur essendo una semplificazione che non può e non deve ricomprendere tutte le sfumature che il fare fotografia provoca in ogni persona, sento quelle parole fondamentalmente vere ed attuali ancora oggi a distanza di molti anni:

Nella formazione di un fotografo ci sono tre stadi. […]

Primo stadio. In questa fase il fotografo è soltanto un collezionista, un appassionato di strumenti e di aggeggi, il cui interesse si concentra sugli apparecchi, sugli obiettivi, sulla meccanica della fotografia. Possiede di solito i migliori apparecchi, i più aggiornati strumenti e una serie completa di accessori. Il fotografo che si trova in questa fase costituisce la delizia dei negozianti di articoli fotografici perchè non conserva un apparecchio più di qualche settimana o di qualche mese. Torna continuamente a cambiarlo con uno più recente, “prova” instancabilmente macchine ed obiettivi, ma non fa mai una vera fotografia.

Secondo stadio. In questa fase l’interesse del fotografo si rivolge soprattutto alla “qualità” delle copie positive. Anche questo tipo di fotografo possiede una vasta e ottima attrezzatura: ma, a differenza del precedente, se ne serve per fare fotografie. Quando fa fotografie, però, non presta la minima attenzione al soggetto. La sua ambizione è di ottenere un “positivo perfetto”. Discute appassionatamente di grana della pellicola, gradazione dei negativi, gamma, inerzia, mancanza di reciprocità e opacità; si precipita ad acquistare ogni tipo di soluzione “a grana fine” appena spunta sul mercato, sperando sempre di imbroccare quella perfetta. […] 

Terzo stadio. In questa fase il fotografo è come un pittore o un romanziere animato dall’ispirazione. Non gli importa che tipo di apparecchio usa, ma la fotografia che può ottenere. Potete vedergli tra le mani una Leica modello 1932, scrostata e sconquassata, ma le sue fotografie finiscono esposte nelle sale del Museo di Arte Moderna di New York. La sua “tecnica” può essere talvolta discutibile, la sua sincerità mai. Se un fotografo sa ciò che vuole, anche se non è padrone della tecnica, troverà sempre il modo, con lo studio e con l’invenzione personale, di esprimersi chiaramente sulla pellicola e sulla carta sensibile in modo da comunicare agli altri le sue esperienze e le sue sensazioni. […] Il primo passo sulla strada del lavoro originale si compie quando ci si rende conto che un apparecchio fotografico è solo uno strumento per fare fotografie. Dimenticate il suo aspetto esterno, i suoi meccanismi di precisione, le sue cromature, il suo obiettivo scintillante; e consideratelo alla stregua - tanto per fare un esempio - di una macchina per scrivere. La macchina fotografica è per il fotografo quello che la macchina per scrivere è per il romanziere: uno strumento per esprimere delle idee. Tutti possono imparare a scrivere a macchina come tutti possono imparare a fare fotografie. A nessuno importa di conoscere la marca della macchina per scrivere di un romanziere. Nello stesso modo, perchè si dovrebbe pretendere di sapere quale apparecchio è stato usato da un fotografo? L’unica cosa che conta è se il suo lavoro è buono o cattivo, interessante o scialbo. […] La preoccupazione per gli aspetti tecnici più esteriori della fotografia è evidente nella tendenza di molti dilettanti ad attribuire importanza ai “dati tecnici”. Le riviste e gli annuari fotografici corredano religiosamente con questi dati ogni fotografia che pubblicano. […] la citazione della marca dell’apparecchio, dell’obiettivo e del film non è di nessuna utilità pratica: è soltanto una pubblicità gratuita per i loro fabbricanti. E’ commovente vedere quanta pena si danno alcuni redattori di riviste fotografiche per fornire “informazioni complete” ai loro lettori.